“Essere casa e putia”, o, in italiano, casa e bottega è un modo di dire abbastanza diffuso in Sicilia che semplifica e racchiude in sé rettitudine e buona creanza.
Ma questo termine spesso sostituisce l’espressione proverbiale “essere casa e chiesa” che genericamente si riferisce ad una persona che non ha svaghi; in senso letterale ci si riferisce ad una persona che percorre sempre lo stesso tragitto, abituata a frequentare solo luoghi familiari, ma in alcuni contesti l’espressione può indicare anche una persona di vedute strette o bigotta.
Il termine putia, italianizzato in bottega, deriva probabilmente dal greco apotheke, ossia magazzino, deposito. La parola indicava un luogo, generalmente sulla pubblica via, in cui si esponevano, conservavano o vendevano le merci.
In particolare, nel tessuto urbano della polis, le botteghe dei mercanti si trovavano nell’area dell’agorà (luogo in cui si svolgeva la vita pubblica), ma le case degli artigiani (vasai, fabbri, fornai…) ospitavano le botteghe all’interno delle loro abitazioni, vale a dire che l’area di lavoro e di vendita si trovava sulla strada.
Nel periodo romano la struttura della bottega artigiana rimase pressocché uguale a quella greca, l’ingresso era però sormontato da un pergolato o da un balcone (che apparteneva al piano superiore e dunque all’abitazione) e veniva chiamata pergola o taberna, sebbene quest’ultimo termine indicava per lo più un’osteria o una trattoria, o un luogo di vendita di cibo o bevande.
Anche le botteghe artigiane romane si trovavano al piano terra e si affacciavano sulla strada; vi sono alcuni esempi all’interno degli scavi di Pompei o Ercolano.
È però nel Medioevo, in particolare intorno all’anno 1000, che le botteghe artigiane fioriscono, soprattutto nei centri cittadini e nelle piazze del mercato, mantenendo comunque la struttura abitativa al piano superiore.
Fino al Rinascimento rientrava tra le botteghe artigiane anche il laboratorio di artisti e scultori (anche il nostro Antonello da Messina aveva la sua ”putia” al piano inferiore della propria abitazione), successivamente però il termine bottega, in rifermento al laboratorio artistico, andò ad indicare una scuola in cui mandare i figli ad imparare l’arte (intesa anche come mestiere).
Tutt’oggi quando un’opera è anonima, ma si riconoscono le caratteristiche di un artista, ci si riferisce all’opera in questione come appartenente alla bottega di tale pittore o scultore.
La struttura urbanistica medievale si diffonde non sono in Italia e nell’area mediterranea, ma anche in Europa occidentale e tale rimane fino alla decadenza dell’artigianato a seguito dello sviluppo industriale nel XIX secolo.
Non accadde lo stesso in Sicilia, dove ancora durante il XIX secolo erano diffuse botteghe artigiane (sarti, calzolai…)e non solo; infatti nel dialetto locale si definiva ( e si definisce tutt’oggi) putia anche la piccola bottega alimentare.
Esempio “moderno” della struttura casa e bottega sono, a Messina, le ottocentesche case Cicale, che ben mostrano la divisione tra il piano nobile abitabile e bottega sottostante.
Diffusissima fino ad una quarantina di anni fa era anche a putia ro vinu, un luogo in cui sì si vendeva vino sfuso, ma che fungeva anche da luogo di ritrovo generalmente maschile, in particolare della classe operaia, sebbene fosse frequentata anche dal qualcuno del ceto medio borghese.
Questo genere di botteghe erano solitamente aperte dai produttori di vino, proprietari terrieri, per vendere la propria produzione, ma dentro e fuori venivano allestiti tavolini e sedie destinati agli avventori.
A causa del fatto che alcuni frequentatori di queste putie erano persone poco raccomandabili, ubriaconi o gente di malaffare, il termine putia può avere oggi, in base al contesto, anche un’accezione negativa.
Nonostante ciò ancora oggi è possibile trovare in Sicilia piccole botteghe, in genere alimentari (fruttivendoli, panifici, macellai) perchè la verità è che a noi non piacciono i grandi freddi centri commerciali, ci piace il calore della gente, scambiare due chiacchiere mentre si fa la spesa con la proprietaria della bottega sotto casa che ti conosce da quando sei nato!
In questo senso si può affermare che noi siciliani siamo un po’ tutti “casa e putia”.