Tra i miti e leggende siciliane quello di Scilla e Cariddi è sicuramente tra i più famosi. Per secoli l’attraversamento dello Stretto di Messina ha rappresentato una vera sfida per eroi e naviganti, una sfida che oggi diventa una piacevole avventura da intraprendere con un tour in barca sullo Stretto di Messina, alla scoperta delle acque in cui vivono immersi i protagonisti della leggenda siciliana di Scilla e Cariddi.
Questi due personaggi però, noti per essere dei mostri orrendi e spaventosi, non hanno sempre avuto un aspetto così terribile, ma anzi erano un tempo bellissime ninfe. Voi conoscete la loro storia?
Miti e leggende siciliane: Scilla e Cariddi e il viaggio di Ulisse
Miti e leggende siciliane sono ampiamente presenti in racconti e poemi epici che hanno fatto la storia della letteratura classica. Tutti sanno che i personaggi di questa leggenda siciliana si collocano geograficamente nello Stretto di Messina e che nell’Odissea Scilla e Cariddi sono due mostri che fanno da ostacolo al viaggio per mare che Ulisse deve compiere per tornare a Itaca.
“Ma essa è un orrido mostro/ e nessuno godrebbe a vederla, neppure/ se fosse un dio a incontrarla: ha dodici piedi,/ tutti davanti, sei teste e sei colli lunghissimi;/ su ogni collo una faccia deforme, la bocca/ ha tre file di denti, fitti, in gran numero,/ dove nera si apposta la morte.”
Quelle che avete appena letto sono le parole che Omero usa per descrivere Scilla nell’Odissea. Lo fa attraverso il personaggio della maga Circe, che innamorata di Ulisse lo mette in guardia sui pericoli che lui e i suoi compagni di viaggio avrebbero dovuto affrontare attraversando lo Stretto di Messina.
Se per sfuggire al canto ammaliatore delle sirene ad Ulisse basterà riempire le orecchie dei compagni di cera fusa e farsi legare all’albero della sua nave, non sarà altrettanto semplice e indolore affrontare i due terribili mostri che insidiosi presidiano le due sponde dello Stretto. Scilla infatti con le sue sei teste divorerà sei dei suoi più forti compagni.
Circe però parla anche di Cariddi, un mostro che per tre volte al giorno inghiotte fragorosamente l’acqua del mare e per tre volte la getta fuori: meglio affrontare la terribile Scilla e perdere sei compagni piuttosto che opporsi a Cariddi che avrebbe distrutto la nave e ucciso l’intero equipaggio!
Così quando Ulisse e i suoi compagni iniziano ad attraversare lo Stretto, sono distratti dal movimento delle acque prodotto da Cariddi, e proprio questa distrazione li inganna, poiché è quello l’esatto momento in cui Scilla decide di attaccarli:
“Solcavamo gemendo l’angusto passaggio:/ da una parte era Scilla, dall’altra Cariddi/ divina, che l’acqua salata inghiottiva del mare/ con suono tremendo, che poi rigettava di fuori/ e tutta in gorgoglio travolta bolliva/ come una caldaia sul fuoco che arde:/ la schiuma in alto lanciata giù ricadeva/ battendo le cime d’entrambi gli scogli./ E quando di nuovo l’acqua salata inghiottiva/ del mare pareva sconvolgersi dentro;/ […] lo sguardo era fisso a Cariddi, fisso alla morte./ Fu allora che Scilla ghermì dalla nave/ concava sei dei compagni, i più forti;”
Ulisse riesce così ad evitare il naufragio dell’intera nave sacrificando però sei dei suoi compagni, e tristemente continua il suo viaggio fino a Itaca. Se i miti e leggende siciliane vi appassionano guardate anche la nostra video storia sulla leggenda di Scilla e Cariddi sul nostro canale Youtube.
La storia di Scilla e Cariddi: non solo mostri
La storia di Scilla e Cariddi non anima solamente il vivace assortimento di miti e leggende siciliane ambientate nello Stretto di Messina, ma di loro si parla anche in altre numerose opere letterarie, come l’Iliade, la saga degli Argonauti e persino Dante cita i mostri nella sua Divina Commedia.
Il racconto dell’Odissea diventa una leggenda siciliana, ma Omero non racconta quale fosse la storia di Scilla e Cariddi prima di diventare mostri voraci, e la stessa Circe (che si innamora un po’ di tutti e fin troppo facilmente!), mettendo in guardia Ulisse dall’orribile Scilla, non gli dice che fu proprio lei per gelosia a tramutarla in mostro.
Il mito di Scilla ci viene invece raccontato nel XIV libro delle Metamorfosi di Ovidio, che ce la presenta come una ninfa di incredibile bellezza, la cui storia si intreccia a quella di Glauco, un bellissimo pescatore dai lunghi capelli rossi, figlio di Poseidone.
Scilla abitava sulle sponde della Calabria, ma amava bagnarsi nelle acque cristalline di Messina. Glauco era amato e corteggiato da molte sirene, che però mai riuscirono a conquistarlo, fino a quando un giorno, mangiando un’erbetta argentata cresciuta nei pressi di una spiaggia, si tramutò in un tritone e, abbandonata per sempre la sua natura umana venne benevolmente accolto come semidio immortale dagli altri dèi del mare.
Quanto Glauco vide Scilla se ne innamorò perdutamente, ma la giovane ebbe paura di lui e lo respinse, nonostante i tentativi di Glauco di sedurla vantandosi della sua natura di semidio. A Glauco allora non restò che affidarsi alla maga Circe, e così le chiese di preparare una pozione magica che potesse fare bruciare Scilla d’amore per lui come lui bruciava per lei.
Circe però era innamorata di Glauco, e provò a dissuaderlo con delle parole che un buon amico userebbe per aiutarci a superare un amore non corrisposto: “meglio sarebbe che tu vagheggiassi chi ti vuole, chi ha gli stessi desideri ed è presa da uguale passione”.
Circe si offre a Glauco, ma lui la rifiuta, provocando la sua ira e il suo desiderio di vendetta. Di sicuro quella che oggi chiamiamo solidarietà femminile non era uno dei valori di Circe, che invece di vendicarsi su colui che la respinse, decise di vendicarsi sull’innocente Scilla, che non aveva nessuna colpa.
Così la maga preparò una pozione magica che versò nelle acque in cui Scilla nuotava, tramutandola in un mostro con le teste di sei cani attorno alla vita e con tre file di denti. Si conclude così la storia di Scilla che per l’orrore che ebbe di sé, si nascose in una grotta sottomarina sulle sponde calabre, dove secondo la leggenda ancora vive.
Nel mito di Cariddi invece l’amore che domina è quello per il cibo. Era una ninfa figlia di Poseidone e Gea, ed era famosa per possedere una smisurata ingordigia, golosa e insaziabile. Cariddi era però anche incline ai furti e così un giorno rubò a Eracle una mandria di buoi, che lui aveva precedentemente e “a fatica” rubato a Gerione per compiere appunto… la sua decima fatica!
Cariddi dopo averli rubati li divorò. Anche se le ninfe possono forse riuscire a mangiare tanto senza ingrassare di un grammo, non sono però immuni all’ira degli dèi.
Eracle, figlio di Zeus, si adirò con Cariddi, e così per vendicarsi invocò suo padre che per punirla del suo gesto le scagliò addosso un fulmine e la gettò nelle acque dello Stretto di Messina, trasformandola in un mosto simile a una lampara che per tre volte al giorno ingurgita acqua salata e altrettante volte la rigetta, creando vortici e forti correnti capaci di affondare qualsiasi nave.
La leggenda di Scilla e Cariddi, come molti altri miti e leggende siciliane, fu inventata probabilmente per motivare un fatto scientifico che al tempo non aveva una spiegazione logica, ossia il fenomeno delle correnti dello Stretto, provocate dall’incontro dei due mari.
Si conclude così la storia di Scilla e Cariddi, una leggenda siciliana che ispira la fantasia e ci riporta alla memoria viaggi e avventure che hanno reso l’attraversamento dello Stretto di Messina una prova di coraggio nell’immaginario collettivo. Oggi è possibile trovare varie rappresentazioni di questi due personaggi mitologici in alcuni dei più bei monumenti della città di Messina, come nella magnifica fontana del Nettuno, opera del Montorsoli del 1557.